La Consulta Nazionale Interreligiosa e delle Istituzioni Tradizionali – vedasi sezione dedicata – ha realizzato, nell’ambito delle iniziative connesse ai propri compiti d’istituto, dei corto e lungometraggi; alcuni dei quali hanno, ormai, valore storico. I migliori di questi sono stati realizzati grazie all’amichevole, generosa, collaborazione di Morando Jr Morandini; regista e sceneggiatore tanto sensibile e geniale, quanto schivo e riservato. Autore che, comunque, non disperiamo poter ancora coinvolgere nella realizzazione di un documentario antologico su tutte le manifestazioni patrocinate dalla C.N.I.I.T., in quasi trent’anni di attività. Di Morando Jr Morandini – che è, per inciso, l’autore del volume Professione Sceneggiatore ed ha collaborato con lo zio, l’indimenticato critico cinematografico Morando Morandini, alla realizzazione de I Morandini delle donne. 60 anni di cinema italiano al femminile – è pure il primo dei documentari che inaugura questa sezione dedicata ai video. Il filmato verte su Damanhur, la più grande comunità d’Europa che, per decenni, è stata partecipe di un proficuo rapporto di collaborazione con la Consulta Nazionale Interreligiosa e delle Istituzioni Tradizionali; vedasi in merito il capitolo La scuola di Damanhur, tratto da LA PEDAGOGIA VERSO LA SOCIETA’ POLISEMANTICA-Il realismo dell’educazione, Sandra Chistolini, CLEUP Edizioni, Padova, 2004;
VIAGGIO NELL'ICONA
di Luisa Valmarin
La parola icona viene usata abitualmente per pitture a soggetto religioso fatte con una particolare tecnica e soprattutto secondo una tradizione ecclesiale che ne ha fissato il contenuto e ne ha fatto un "sacramentale" cioè un segno portatore di grazia. L'icona, infatti, più che un'immagine religiosa, è vera arte sacra che ha un posto ben determinato nel culto liturgico e nella devozione privata: è un linguaggio che equivale e corrisponde alla predicazione evangelica attraverso i testi liturgici.
Nella pittura delle icone, gli artisti erano tenuti a rispettare severe regole di comportamento per evitare di cadere nell'eresia e per questo seguivano i testi approvati dalla Chiesa Ortodossa. In altre parole, l'icona non è una rappresentazione pittorica con intenti figurativi ed artistici come i cristiani non ortodossi sono portati a credere, ma è invece una preghiera che santifica l'anima del credente con il mezzo materiale della vista, proprio come il canto santifica attraverso l'udito. Su queste pitture non appaiono né le firme degli artisti né le date di esecuzione, in quanto l'immagine non deve suscitare emozioni umane, ma far conoscere un mondo soprannaturale che può essere interpretato e recepito anche da un pubblico privo di cultura, purché animato da spiritualità e fede. Le icone sono il collegamento con il mondo ultraterreno, non sono semplici raffigurazioni, né possono essere giudicate con gli stessi criteri usati per un quadro.
L'icona è essenzialmente un simbolo, uno strumento che serve alla comprensione del divino, come "guida spirituale" verso una dimensione che va al di là di quella materiale. La raccolta delle icone canoniche costituisce la pienezza dell'insegnamento ortodosso, tanto che potremmo definire l‘icona anche come un "microtempio".
ORIGINE DELLE ICONE
Le icone nascono come piccole raffigurazioni portatili, realizzate su una tavola di legno con tecniche varie (tempera, affresco, mosaico) e custodite nelle chiese e nei monasteri più importanti.
Alla loro base, verosimilmente, si trova l’usanza diffusa in oriente e soprattutto in Egitto nei primi secoli dopo Cristo di perpetuare in un ritratto il ricordo del volto dei morti, ritratto che era dipinto su una superficie di legno dipinta con intensi tocchi cromatici. Questi ritratti venivano collocati sul sarcofago davanti al volto e si sono conservati fino ai nostri giorni. I più espressivi e importanti sono quelli che provengono dalla zona di Fayum nel medio Egitto (II – IV sec.) ed è in questi ritratti mortuari che si è soliti vedere l’origine delle icone.
Ritratto funebre di Fayum
Infatti i cristiani hanno adottato alcuni degli usi della comunità nel cui ambito vivevano come quello di conservare l’immagine dei morti, iniziando quindi a dipingere le icone dei martiri. Successivamente, nel IV-V secolo si è diffusa l’usanza di rappresentare le immagini di quanti hanno contribuito a consolidare e estendere la religione cristiana cosicché i volti del Salvatore, della Madonna, degli apostoli, degli arcangeli e dei santi vengono dipinti su superfici lignee ed utilizzati poi nel culto.
La tradizione popolare riteneva che le immagini fossero di origine divina e avessero poteri miracolosi: per questo erano chiamate, con espressione greca, acheiropòiete, ossia "non fatte da mano umana" ma dipinte da una mano divina. Tale credenza appare nella seconda metà del VI sec. e include anche celebri icone della Madonna che la tradizione vuole siano state dipinte da S. Luca.
Delle icone realizzate a Bisanzio nei primi cinque secoli non si è conservato nulla, sia perché realizzate con materiale deperibile, sia per l’iconoclastia che nell’VIII-IX secolo si è abbattuta sulle immagini sacre. Pertanto, le più antiche pervenuteci risalgono al 6° secolo, e vengono realizzate principalmente in due centri di produzione: il Monte Sinai e Roma.
Nel Sinai, in Egitto, durante il periodo bizantino vengono fondati importanti monasteri tra cui il più celebre è quello di S. Caterina. Proprio per questo monastero viene realizzata nel 6° secolo una delle prime icone: la Madonna col Bambino, oggi conservata nel Museo di Kiev. Anche se nell'opinione comune le icone sono legate al cristianesimo orientale, è la città di Roma a conservare alcuni degli esempi più antichi. La Madonna col Bambino del Pantheon, l'unica icona datata con certezza, viene realizzata nel 609, quando l'antico tempio romano è trasformato in chiesa cristiana; la Madonna in trono col Bambino della chiesa di S. Maria in Trastevere, datata tra 6° e 8° secolo, viene chiamata solitamente Icona della clemenza per i suoi poteri; l'Icona della Vergine, conservata oggi nell'oratorio di S. Maria del Rosario, è l'unica dipinta in Oriente - intorno al 7°-8° secolo - presente a Roma.
Madonna Kyriotissa – VI secolo – monastero di S. Caterina al Sinai
Questa Madonna Kyriotissa, del VI sec. e conservata nel Monastero di Santa Caterina del Monte Sinai, rappresenta visivamente il passaggio dall'arte classica (i due angeli del registro superiore), all'arte delle icone (i due santi a lato delle Vergine), passando per la Vergine stessa che alla ieraticità della figura unisce un volto che ancora ricorda i ritratti del Fayum.
CARATTERI DELL’ICONA
Anche se lo scopo di ogni icona è quello di essere venerata dai fedeli, ci sono differenze tra le icone orientali e quelle romane: esse riguardano principalmente la tecnica di realizzazione e soprattutto la funzione. Nelle icone romane, infatti, il colore non è steso direttamente sulla tavola di legno ma su una tela, che viene poi a sua volta incollata sulla tavola. Riguardo all'uso, si può dire che le icone di Roma avevano anche una funzione pubblica: non rimanevano sempre chiuse negli edifici religiosi, ma erano protagoniste di ricche e solenni processioni. Per tale ragione le icone romane avevano anche dimensioni più grandi di quelle bizantine.
Ancora oggi, come nei secoli passati, il modo in cui il pittore deve dipingere un'icona è fortemente condizionato dal significato dell'immagine rappresentata: bisogna raffigurare infatti personaggi sacri e spirituali, non persone umane. L’icona non essendo una rappresentazione della natura, volutamente ignora il volume che rappresenta la pura dimensione «carnale» dell’uomo. Il mondo dell’icona si muove dentro la bidimensionalità. Rifiutando di rendere l’illusione ottica del volume, l’icona vuole sottrarsi alle leggi che reggono questo mondo opaco e pesante. Così le figure devono essere frontali e immobili per una maggiore idea di sacralità; le vesti devono presentarsi ricche e preziose per dare impressione di regalità; spesso poi le immagini sono disegnate con una linea marcata, che ha lo scopo di rendere le figure piatte, astratte, insomma fuori dalla realtà umana. L'icona rappresenta personaggi stilizzati e ideali, impregnati di realismo e di rispetto delle forme, senza tuttavia deviare verso il naturalismo. Anche se il personaggio raffigurato è verosimile, in realtà non ha nulla di carnale perché la carne lascia il posto ad un corpo trasfigurato: l'uomo terrestre si trasforma in un uomo celeste. Questa particolarità dell'iconografia bizantina di trasfigurare e di spiritualizzare il mondo, si manifesta anche nella rappresentazione della natura. Le montagne, leggere ed ariose, invitano all'elevazione spirituale. La vegetazione ha ritrovato la bellezza del giardino dell'Eden. Anche le architetture e gli oggetti si sottraggono alla materialità del mondo.
Malgrado le icone siano dipinte su diversi supporti, il materiale più usato è il legno che è preferito perché diventa sinonimo del legno della Croce. In tal modo, diviene un supporto carico di simbologia cristiana: è da preferire il legno perché sul legno è stato crocifisso Gesù. La parte essenziale dell’icona non sono né il legno, né il colore, ma l’atmosfera sacra che avvolge l’icona stessa.
L’ICONA DELLA NATIVITA'
L’icona della Natività è una delle più ricche per quel che riguarda non solo gli elementi biblici e scritturali, ma anche apocrifi: qui si combinano elementi derivati dal vangelo di Luca (2,1-20) e Matteo (!, 18-25; 2,1-12) che descrivono la nascita del Salvatore con quelli derivati da vangeli apocrifi che aggiungono elementi come la presenza del bue e dell’asino nella grotta. Malgrado la forma attuale dell’Icona della Natività risalga al XV secolo, le rappresentazioni più antiche della Natività sono databili al IV-VI secolo, mentre la relativa iconografia si è sviluppata a partire dal VII secolo.
L’icona che qui viene riprodotta e illustrata è opera di Constantin Udroiu, pittore rumeno di nascita, che accanto alla pittura profana, ha praticato la pittura sacra, icone e affreschi monumentali. Come pittore di icone, ha obbligatoriamente rispettato i canoni consacrati dalla tradizione, canoni ai quali si conforma anche nella realizzazione di questa Natività.
Le figurazioni dell’icona si strutturano su tre registri: 1 - il superiore simboleggia il mondo celeste; 2 – quello centrale simboleggia l’unione del divino con l’umano; 3 – l’ultimo inferiore simboleggia l’umanità.
Nel I registro, intorno alla stella si collocano gli angeli: a sinistra cantano le lodi del Creatore, a destra annunciano ai pastori la nascita. Il raggio che esce dalla stella è tripartito, per simboleggiare la partecipazione delle Tre Persone (Padre, Figlio e Spirito Santo) alla salvezza dell’uomo. Il monte è costituito da aspre rocce, che con le loro vette sembrano unirsi al cielo così da rappresentare il duplice movimento della discesa di Dio verso l’uomo e quello della salita dell’uomo verso Dio, entrambi resi possibili dall’Incarnazione del Figlio di Dio.
Nel II registro centrale, la Madonna è raffigurata di dimensioni maggiori rispetto agli altri personaggi ed indossa un abito rosso, colore della dignità imperiale imperiale bizantina, a simboleggiare la sua dignità di Imperatrice dei Cieli. Accanto a Lei, il piccolo Gesù è collocato in una mangiatoia che ricorda un sarcofago, mentre le fasce in cui è avvolto sembrano quelle in cui vengono posti i morti, prefigurando così la futura morte e la discesa agli inferi. L’evento della nascita è collocato in una grotta, non menzionata nei Vangeli, ma presente nella tradizione dei testi liturgici proprio come avviene per le figure del bue e dell’asino che suggeriscono l’adempimento di una profezia di Isaia: “…parla il Signore: “Il bue riconosce il suo proprietario e l’asino la mangiatoia del suo padrone, ma Israele non conosce e il mio popolo non comprende” (I, 3). I pastori sono rappresentati mentre ascoltano l’annunzio dell’angelo; alcuni suonano il flauto unendo così l’arte umana del canto al coro angelico. I magi a cavallo sono colti nel loro cammino verso la grotta indicata dalla stella.
Nel III registro, oltre ai pastori, è raffigurato Giuseppe in atteggiamento pensoso, lontano dalla Vergine, particolare che sottolinea la verità scritturale e l’insegnamento della Chiesa secondo cui Gesù è nato solo da Maria, Giuseppe essendo il padre putativo.
Fonti
- Yannis Spiteris, Il significato teologico ed estetico delle icone,
- https://www.clarissesantagata.it/archivioiconeteologia/
- Limata, Amelia, Breve storia dell’icona e dei pittori di icone https://www.culturacattolica.it
- Iconografia: l’immagine sacra nella Chiesa, https://www. Iconografi.it
- I.P.S. Pimen Suceveanul, Învățătura Ortodoxă despre Icoane https://www.impantokratoros.gr/icoane_1.ro.aspx
- Dumitru Stăniloae,O teologie a icoanei, Editura Anastasia, București, 2005
- Mihai-Alex Olteanu://doxologia.ro/
- Adrian Cocoşilă, Icoana Naşterii Domnului http://istoria.md/
- Eugen Rachiteanu, Istoria si semnificatia conceptului de icoana Caietele Institutului Catolic https://caiete.ftcub.ro/2010/Caiete%202010%20
VIAGGIO NELL'ICONA
(PARTE DUE)
LE ICONE DELLA PASQUA
di Luisa Valmarin
IL SIMBOLISMO CANONICO DELLE ICONE
“L’icona – dice Trubeckoj – non è un ritratto, ma un prototipo della futura umanità”. Perciò l’icona è un simbolo, uno strumento che serve alla comprensione del divino e la "guida spirituale" verso una dimensione che va al di là di quella materiale. Estetica e tecnica obbediscono a precise esigenze teologiche e spirituali, attraverso cui viene espressa la teologia dell’icona. Siccome l’iconografia è stata innanzi tutto opera dei monaci, i canoni stilistici ed estetici che ad essa si riferiscono sono stati costanti perché basati sulla loro opera ed in primo luogo su quella di Dionisio di Furna (sec. XVIII). L’'icona è la rappresentazione grafica del messaggio scritturale ed il suo testo può essere letto solo da chi è in grado di conoscere i simboli presenti nella raffigurazione sacra. Così, ad esempio, anche le lettere dipinte sull'icona assumono un particolare valore: le icone del Cristo presentano sempre la dicitura "IC XC" (forma greca abbreviata di Gesù Cristo) e anche "Ω O N" ("colui che è"), simbolo generalmente inserito nell'aureola.
Giovanni Damasceno (VII-VIII sec., PG 95) sottolinea che è giusto non dipingere l’immagine di Dio perché egli è ineffabile, invisibile, infinito. Tuttavia con l’Incarnazione attraverso l’umanità di Cristo, si manifesta la divinità. In Cristo quindi avviene la riconciliazione delle due realtà: l’uomo è ad immagine di Dio; Dio è ad immagine dell’uomo. Dato questo principio teologico è perciò possibile rappresentare Dio nelle sembianze umane e la rappresentazione di questo mistero può essere fatto attraverso le parole e attraverso il colore: quello che nel Vangelo è la parola, nell’icona è il colore, cosicché attraverso le icone, integrate nella liturgia, le immagini rendono visibili i misteri invisibili. Pertanto l’iconostasi ha la funzione non di nascondere, ma di rivelare il cielo invisibile che si cala sulla terra.
L'iconostasi (εικονοστάσι) è la parete decorata da icone che separa il naos dal presbiterio, lo spazio dedicato ai fedeli da quello riservato alla liturgia, la parte “sensibile” da quella “intelligibile”. Le icone sono generalmente disposte in un ordine gerarchico che interpreta la formula centrale della teologia bizantina.
A) IL SIMBOLISMO DEL COLORE
In tutte le raffigurazioni sacre, i colori assumono un'importanza fondamentale, proprio come le caratteristiche ricorrenti facenti capo ad una precisa tradizione.
Dice Trubeckoj che il pittore di icone con i colori sa differenziare il piano terreno dell’esistenza da quello ultraterreno. “Ma per quanto vari siano i colori che segnano il limite fra due mondi, si tratta sempre di colori celesti a doppio senso, cioè nel senso proprio e insieme simbolico del termine. Sono i colori del cielo visibile che hanno assunto il significato convenzionale, simbolico di segni del cielo ultraterreno”. Gli antichi iconografi hanno creato questo simbolismo: “il cielo di questo mondo si spalancava davanti ai loro occhi corporei; il cielo ultraterreno lo contemplavano con gli occhi della mente… e la loro creazione artistica univa l’uno all’altro cielo. … Qui sta la chiave per la comprensione dell’ineffabile bellezza del simbolismo pittorico dei colori”. La mistica della pittura delle icone – egli dice ancora - è una mistica solare: l’oro del sole è il colore dei colori intorno a cui si dispone la gerarchia dei colori: solo l’oro solare designa il centro della vita divina, mentre tutti gli altri gli fanno da corona.
Ciò spiega perché gli iconografi utilizzino un colore che in certo modo è non colore, ma luce ossia l’oro che nelle immagini sacre simboleggia la luce divina. In tal modo la luce riflessa del mondo naturale è sostituita dall’oro dell’icona di modo che l’immagine diventa una fonte indipendente di luce.
Il colore che più gli è prossimo è il bianco, colore dell'armonia, della pace, del divino: è il colore della rivelazione, avvicinandosi così all’oro e quindi alla simbologia della divinità.
In modo generale, si rileva che i colori tonali sono sostituiti dai colori puri e fondamentali. Il blu, detto “mistero degli esseri”, è il colore più spirituale e rappresenta il colore della trascendenza della vita divina. Il rosso è indubbiamente il colore più vivo che sia presente nelle icone: è simbolo del fuoco dell'amore spiritualizzato (rossi sono i serafini che ardono d’amore per Dio) e insieme del sangue versato dai martiri. Il verde è spesso usato come simbolo della natura, della fertilità e dell'abbondanza. Usato per le vesti di re e profeti, è simbolo di rinascita e di redenzione dei peccati. Il bruno, invece, simboleggia ciò che è terrestre, più umile e povero, usato per le vesti di monaci e asceti, a esprimere la loro povertà e la rinuncia alle gioie terrene. Il nero è l’assenza totale di luce, colore con cui vengono rappresentati i condannati nelle icone che raffigurano il giudizio universale. Nera è la grotta della Natività per ricordare che Cristo è nato per portare la luce a quelli che stavano nelle tenebre; nera è la grotta che si trova sotto la croce sul Golgota, a simboleggiare la morte per il peccato.
Per quanto riguarda le vesti dei personaggi, i colori sono trattati in modo che il loro accostamento suggerisca la gioia. Nell’icona di Cristo la veste interna è di colore porpora e indica la divinità, mentre quella esterna è di colore azzurro ed indica l’umanità. Nell’icona della Madonna, al contrario la veste interna è di colore azzurro a indicarne la natura umana, quella del manto esterno è rosso, a simboleggiare la divinità assunta da Maria.
B) IL SIMBOLISMO DELLA TECNICA
L'iconografia è un'arte grandissima che richiede grande preparazione tecnica e spirituale. Il pittore si prepara appositamente per creare l'opera iconografica: un atto che gli permette di entrare in stretto rapporto con il divino ed esigerebbe la purificazione spirituale e fisica. Le icone sono essenziali nei loro elementi ornamentali. Si riproduce solo quel che è necessario, ricorrendo spesso al simbolo, per esprimere non l’immanenza ma lo slancio verso la trascendenza.
Le icone sono dipinte su tavolette di legno, generalmente di tiglio, larice o abete. Sullo strato interno della tavoletta in genere si effettua un solco chiamato scrigno. Sulla superficie che così viene creata, si comincia a tratteggiare il disegno.
Partendo con uno schizzo della rappresentazione, il successivo passo è quello della pittura. S'inizia con il dorare tutti i particolari (bordi dell'icona, pieghe dei vestiti, sfondo e corone), poi si dipingono i vestiti, gli edifici e il paesaggio. L'effetto tridimensionale viene reso da tratti più scuri distribuiti in modo uniforme. Successivamente si pongono tratti chiari di luce sulle parti in rilievo del volto: zigomi, naso, fronte e capelli mentre il rosso è disposto attorno alle labbra e sulle guance. Infine con il marrone chiaro si dipingono gli occhi, le ciglia ed eventualmente i baffi o la barba.
Illustrazione tratta da La tecnica dell’icona, “Atelier-St-André”
La ieraticità delle icone, lo splendore dell’oro e dei colori, la posizione frontale delle figure dagli occhi grandi, le luci che illuminano i volti sono altrettante espressioni del mistero di una presenza che ci viene offerta, che si propone a noi, tutti protesi nella contemplazione del mistero della gloria e del mistero di Dio che si realizza nella storia.
C) IL SIMBOLISMO DEGLI ELEMENTI FORMALI
Alcuni elementi formali caratterizzano la tecnica iconografica così da portare chi contempla l’icona a trovare l’immediato contatto con il divino. Ne ricordiamo alcuni particolarmente interessanti.
La bidimensionalità
Le realtà che noi conosciamo hanno tre dimensioni: lunghezza, larghezza, altezza. Il mondo dell’icona si muove dentro la bidimensionalità. L’icona non essendo una rappresentazione della natura ma un segno della «nuova creazione» inaugurata da Gesù Cristo, volutamente ignora il volume che rappresenta la pura dimensione «carnale» dell’uomo. I volti (sempre di fronte) sono trattati con colori molto sfumati in modo da togliere ogni idea di sensualismo. Ciò è ottenuto anche con la sproporzione geometrica delle fattezze rispetto al naturale. Dice Dionisio di Furna che l’altezza del corpo deve comprendere “nove misure dalla fronte alla pianta del piede” mentre nel canone dell’arte classica le misure tra fronte e piede sono sette. Di qui la creazione di figure allungate, lontane dalla corporeità umana. Il superamento del naturale, si realizza anche grazie ad altri accorgimenti tecnici come la ieraticità delle figure, la rigida posizione facciale, la scena bloccata nel suo movimento.
L’irraggiamento
Nell’icona troviamo spesso una simmetria che presuppone un centro ideale a cui si riferisce tutto lo sviluppo della tematica. Sembra che da questo punto centrale si sviluppino e si irradino tutti i particolari dell’icona. Anche questa tecnica vuole aiutare il fedele a trovare il punto frontale di ogni realtà, cioè il divino, e ad esso condurre chi contempla l’icona.
La prospettiva inversa
Il senso dell’immaterialità, del nuovo mondo annunziato dall’icona, viene sottolineato ulteriormente con la tecnica della prospettiva inversa, procedimento specifico della pittura iconografica. Le linee non vengono tracciate per convergere in un punto all’interno dell’icona bensì al suo esterno. Questo significa che le linee si dirigono in direzione inversa dal punto dell’osservatore, la direzione della prospettiva non si trova dietro il quadro ma davanti. Si ha l’impressione che la scena invece di perdersi nel fondo venga verso lo spettatore quasi ad incontrarlo, anche grazie al fatto che il personaggio o l’elemento principale è più grande rispetto a tutti gli altri, anche se non è situato in primo piano.
Illustrazione tratta da La prospettiva “Atelier-St-André”
La luce propria
Nell’icona non esiste una sorgente naturale di luce per cui i corpi non proiettano ombre. La luce proviene dallo sfondo dorato dell'icona che simboleggia la vita divina cui gli uomini sono chiamati a partecipare. I colori si sovrappongono sempre più chiaramente a partire da un fondo scuro, assumendo via via un’importanza particolare, secondo il piano seguito dall’iconografo.
LE ICONE DELLA PASQUA
Le icone che qui vengono riprodotte e illustrate sono opera di Constantin Udroiu, pittore rumeno di nascita, che accanto alla pittura profana, ha praticato la pittura sacra, icone e affreschi monumentali. Come pittore di icone, ha obbligatoriamente rispettato i canoni consacrati dalla tradizione, canoni ai quali si conforma anche nella realizzazione di queste icone pasquali.
L’ICONA DELL’ULTIMA CENA
La rappresentazione iconografica dell’Ultima Cena è stata realizzata precocemente; alcune attestazioni sono conservate nelle catacombe romane. Gli elementi che compaiono in questa icona realizzata da C. Udroiu corrispondono alle indicazioni date da Dionisio di Furna: Gesù e gli apostoli siedono intorno ad un tavolo, coperto da una tovaglia su cui stanno piatti e bicchieri. La scena è dipinta sul fondo oro che simboleggia la luce divina e la sacralità dell’evento. Del resto, tutti gli elementi hanno un valore chiaramente e fortemente simbolico: il tavolo si presenta come un “altare”, sul quale viene impartita la Mensa eucaristica. Su di esso stanno la coppa, colma di vino ed il pane, su cui è impressa la croce, entrambi simboli del sacrificio eucaristico. La trasformazione del tavolo in vero e proprio altare viene completata dai candelabri disposti intorno ai simboli eucaristici e davanti agli apostoli, quasi ad illuminare la meraviglia e l’incertezza che si leggono nei loro gesti e più ancora nelle loro espressioni interdette, come ciascuno di loro fosse timoroso di essere la causa della tristezza che si legge nello sguardo di Gesù. Anche la disposizione dei commensali rispetta la tradizione consegnata da Dionisio: Giovanni siede alla sinistra di Gesù ed appoggia il capo sul suo petto; dalla parte opposta siede Giuda, l’unico senza aureola, che stringe fra le mani la borsa con i 30 denari, borsa che è di colore nero, il colore della morte e del peccato. L’abbigliamento di Gesù rispetta la tradizione che, come si è detto in precedenza, vuole l’azzurro a simboleggiare la sua natura umana e il color porpora a simboleggiare la natura divina, mentre sulla sua aureola si legge la scritta "Ω O N", colui che è.
L’ICONA DELLA CROCEFISSIONE
Come l’Ultima Cena, anche la Crocefissione viene rappresentata fin dagli inizi del cristianesimo: all’inizio semplici croci decoravano prima le catacombe e poi le chiese; dal V-VI secolo si trovano le prime scene come quella che figura scolpita sulla porta della basilica di S. Sabina a Roma. L’opera di C. U. segue fedelmente l’iconografia bizantina che muove dalla narrazione dell’evangelista Giovanni arricchita con elementi derivati dai vangeli sinottici e dagli apocrifi. Dall’XI secolo, a Bisanzio l’immagine del Cristo in croce – prima vestito e ancora vivo - è sostituita dal Cristo morto, rivestito solo sui fianchi da un panno. Il corpo è curvato verso destra, il capo piegato e gli occhi chiusi a indicare la morte. Il Suo volto è inclinato verso Maria, con un’espressione di grandiosità nella sofferenza. La vittoria sulla morte è simboleggiata dal cranio che, ai piedi della Croce, esce dalla cima pietrosa del Golgota (il cui nome, come dice l’evangelista Giovanni, significa proprio luogo del teschio), cima che si spacca nel momento in cui muore Gesù. La tradizione iconografica ortodossa ha derivato questo elemento dalle narrazioni apocrife secondo cui Adamo sarebbe stato sepolto in una caverna nel monte destinato a divenire il luogo della Crocefissione. Si evidenzia così il carattere dogmatico di questa icona: la salvezza di Adamo, il primo uomo, si realizza grazie al sacrificio di Cristo, il nuovo Adamo, che ha riscattato l’umanità intera.
Sulla parte superiore della Croce sta l’iscrizione INRI (Gesù Nazareno, Re dei Giudei) mentre sulla parte inferiore si trova il supporto su cui sono inchiodati i piedi. L’atteggiamento del Crocifisso è quello di chi danza perché Cristo prega il Salmo 22 che è un cantico di lode: Egli loda il Padre perché l’uomo è stato salvato. Sul suo corpo non ci sono segni di sofferenza dato che l’iconografo cerca di dipingerLo in modo che in Lui, anche crocefisso, si possa vedere il Figlio di Dio. Ai piedi della Croce, la Madre ha il vestito porpora (segno della regalità e del divino) con il volto teso a guardare il Figlio a sua volta inclinato verso Maria. Giovanni, con gli abiti dello stesso colore di Maria, cosa che rende speculari i due personaggi, ha il capo reclinato con atteggiamento contemplativo e pensoso. Dietro a Maria le pie donne e dall’altra parte il centurione (San Longino della tradizione ortodossa) ritratto mentre con la mano mostra il Cristo gridando “Veramente era il Figlio di Dio”. Il corpo di Cristo inclinato verso la destra indica il ladrone pentito che si trova alla sua destra e che infatti ha il capo aureolato, mentre l’altro volge lo sguardo lontano dalla Croce redentrice.
In basso nell’icona sono rappresentati i soldati e i farisei in mezzo ai quali C. U. introduce una figura inedita nell’iconografia tradizionale: con la testa aureolata e nell’atteggiamento di scriba, compare un personaggio evidentemente intento a descrivere la scena, verso quale guarda come a prendere ispirazione. Ritengo che il pittore abbia voluto introdurre qui la figura di un evangelista e questo non può essere altro che quello che più diffusamente ha narrato l’episodio della Crocefissione, S. Giovanni, che del resto la tradizione ha consacrato come “il discepolo che Gesù amava”: allievo, ma soprattutto partecipe dei momenti più intimi della vita del Cristo e l’unico tra i suoi a essere presente anche ai piedi della Croce. Di conseguenza, Giovanni è uno dei più significativi testimoni della vita e della morte del Cristo: a lui sono infatti attribuiti il quarto Vangelo (da cui l’epiteto di evangelista), tre lettere e il Libro dell’Apocalisse, il libro della Rivelazione che chiude il Nuovo Testamento e che gli vale la definizione di teologo per eccellenza. L’innovazione dell’iconografo muove quindi da un presupposto teologico e insieme storico trovando piena giustificazione nella tradizione scritturale.
Luisa Valmarin
Fonti
• Dionisio da Furna, Ermeneutica della pittura, Napoli 1971
• P. N. Evdokimov, La teologia della bellezza. L’arte dell’icona, Roma 1982.
• P. Florenskij, Le porte regali. Saggio sull’icona, Milano 1981
• P. Florenskij, Perspectiva inversă și alte scrieri, București 1997
• G. Garib, Le icone festive della Chiesa ortodossa, Milano 1985.
• E. Sendler, L’icona immagine dell’invisibile. Elementi di teologia, estetica e tecnica, Roma 1985.
• E. Trubeckoj, Contemplazione nel colore. Tre studi sull’icona russa, Milano s. a.
Siti
• Colori e personaggi delle Icone (www.ungra.it/new/Icone/colori.htm)
• M. P. Di Biagio, Il mondo delle icone (www.larecherche.it/public/testi)
• Icona (it.cathopedia.org/w/index.php?title=Icona&oldid=457525)
• L'icona della crocifissione spiegata da don Gianluca Busi (www.sentiericona.it/public/icone/)
• L’icona, i colori, la simbologia (www.sentiericona.it/public/icone/)
• Icone Sacre: cosa sapere per capirle e conoscerle (www.icone-sacre.com)
• T. Palamidessi, Il Simbolismo dei colori nell’iconografia da il linguaggio simbolico e archeosofico dei colori, 27° Quaderno di Archeosofia (Il%20Simbolismo%20dei%20Colori%20nell’Iconografia%20»%20Archeosofica%20IT.htm)
• S. Pisciotta, I colori della fede. La simbologia cromatica nell’arte delle icone (www.sentiericona.it/public/icone/?p=15201)
• La prospettiva (www.Atelier-St-André.net/it/pagine/estetica/prospettiva.html)
• L. Scalabroni, La Crocifissione e lo spazio pittorico (www.Ec-aiss.it)
• La tecnica dell’icona (www. Atelier-St-André.net /it/pagine/tecnica/sommario_tecnica_icona.html)
LUISA VALMARIN
Nata a Bolzano nel 1941, ha conseguito la laurea in Lettere moderne nel 1966, con un lavoro di linguistica rumena dedicato allo studio del verbo nel Dizionario di Laurian e Massim (Bucarest 1871), ottenendo il massimo dei voti e la lode. Assistente volontaria dallo stesso anno, a partire dal 1968 è assistente di ruolo. Nel 1981 ottiene, in prima tornata, il giudizio di idoneità a professore associato di Lingua e letteratura rumena. Dal 1982 è titolare di questo insegnamento nel Dipartimento di Studi Romanzi dell'Università di Roma "La Sapienza". Dal 2000 è professore ordinario della disciplina e dal 2001 al 2006 è stata presidente dell’area didattica dei Corsi di Studio in Lingue e Letterature Moderne e in Mediazione Linguistico-Culturale. Dal 2006 al 2010 è stata direttore del Dipartimento di Studi Romanzi nell'ambito del quale ha fatto parte del collegio docenti del dottorato di ricerca in Filologia e letterature romanze, assicurando la presenza di un curriculum in Lingua e letteratura rumena.
Nel 1988 ha fondato la rivista Romània Orientale (testata di proprietà della "Sapienza"), di cui è stata direttore responsabile fino al 2010.
- E’ stata presidente dell'Associazione Italiana di Studi Sud-Est Europei (AISSEE). È membro fondatore e già presidente dell’Associazione Italiana di Romenistica (AIR).
- Nel 2003 ha ricevuto dal Presidente della Romania Ordinul Național "Serviciul Credincios" în gradul de Mare Ofițer
- Nel 2010 ha ricevuto il Diploma di eccellenza conferito alla cattedra e a lei personalmente dall’ILR alla presenza del rettore, prof. Luigi Frati, e dell’Ambasciatore di Romania, R. Rusu
- Nel 2014 l’Università di Alba Iulia, “1 Decembrie 1918”, le ha conferito la Laurea HC in filologia.
Il Maestro Constantin Udroiu (il secondo da destra) si intrattiene con la delegazione della Chiesa dell'Ultimo Testamento, guidata dal fondatore Vissarion in visita ufficiale alla Consulta Nazionale Interreligiosa e delle Istituzioni Tradizionali. Il momento precede l'agape che verrà consumata secondo le modalità proprie del culto messianico, siberiano, fondato dall'ex miliziano Sergej Torop.
Considero il Bizantino Rumeno come il principale punto di partenza per un pittore rumeno.
Sono infatti legato intimamente alla tradizione culturale del mio paese.
L’ arte senza un obiettivo è un postulato illusorio che non accetto.
La metafora si sostituisce alla concretezza nell’ ordine delle astrazioni; è lo strumento che riflette istantaneamente il concreto.
Constantin Udroiu
C. Udroiu è nato a Bucarest nel 1930. Ha compiuto gli studi presso la Facoltà di Belle Arti di Bucarest. Dal 1954 al 1964 è stato detenuto politico, avendo subito una condanna a 22 anni di lavori forzati per reato d’opinione. È stato membro dell’Unione degli Artisti Plastici Rumeni. Ha partecipato come pittore a numerose mostre nazionali in Romania e internazionali all’estero. Nel 1971 su iniziativa della stampa sarda, è stato invitato ad organizzare una mostra nella città di Sassari, per la quale ha avuto l'onore che venisse inaugurata dall‘on. Sandro Pertini, allora presidente della Camera dei Deputati e poi presidente della Repubblica. Sempre nell’estate 1971, ha vinto il 3° premio in occasione della biennale di arte contemporanea svoltasi nella città sarda di S. Teresa di Gallura. Da allora, la sua attività si è spostata definitivamente in Italia dove, fino alla sua morte, nel marzo 2014, ha organizzato oltre 200 mostre portandole anche in diversi stati europei.
Ha eseguito affreschi in chiese bizantine rumene ed italiane, oltre che in vari edifici italiani, pubblici e privati. Fra questi vanno ricordati soprattutto gli affreschi rappresentanti L’Ultima cena e la Cena in Emaus eseguiti nel 1990 nel Seminario nuovo di Benevento, inaugurati e benedetti da S. Giovanni Paolo II.
Interessato anche degli aspetti storico-critici dell’arte, ha partecipato a numerose manifestazioni culturali come i Jeux de la Latinité, Università di Avignone, 1978; il colloquio Francia-Provenza-Sicilia nel 1979 sempre ad Avignone; il colloquio dedicato a S.Caterina da Siena nella città di Carpentras, nel 1980; il II ed il III Congresso Internazionale di Studi Rumeni, organizzati rispettivamente nel 1979 presso l’Università di Amsterdam e nel 1983 presso quella di Avignone; il colloquio Presenza della Romania in Francia ed Italia , svoltosi a Parigi, presso la Sorbona, nel 1984; la IX Conferenza Mediterranea organizzata dal Dowling College di New York, Atene 1985. A tali incontri scientifici, C. Udroiu si è presentato nella doppia veste di pittore, con mostre personali, e partecipante effettivo, con comunicazioni. Ha infine tenuto numerose conferenze, aventi per soggetto l’arte bizantina, in diverse città italiane e con numerosi commenti da parte della stampa.
Nel giugno 1991 è stato nominato Senatore dell’Accademia Internazionale di Arte Moderna del cui comitato direttivo ha fatto parte fino alla sua morte.
Nel 1993 è tornato ad esporre in Romania, con una mostra organizzata dal Museo di Târgoviște.
Tra i numerosi riconoscimenti attribuitigli, è da ricordare che in occasione di una mostra nella città di Bordeaux ha ricevuto il Diploma d’onore e le insegne della città, mentre in Italia, nel 1984 è stato insignito della cittadinanza onoraria per meriti artistici ad Accettura (Matera) in seguito ai lavori monumentali che ha eseguito ad affresco sulla facciata del Comune e che rappresentano l’antica festa del Maggio, nel 1986 a Vitulano (Benevento) e nel 2012 a Passignano sul Trasimeno.
Nel 2010, quando ha compiuto 80 anni, l’Accademia di Romania in Roma ha organizzato una grande mostra omaggiale delle sue opere.
Ha svolto anche una rilevante attività didattica nella sua “fucina d’arte” ovvero nella Scuola d’arte Nikopeia, scuola che inizialmente ha svolto la sua attività in corsi occasionali (estivi – invernali) presso diverse sedi.
Ora e in modo stabile, la Scuola d’arte Nikopeia – dopo aver fatto parte dell’A.I.A.M. (Accademia Internazionale di Arte Moderna), Istituto superiore di cultura con sede a Roma – si è trasformata nell’Associazione Nikopeia – Fucina d’Arte.
I corsi sono organizzati nel quadro delle attività artistico-culturali svolte dall’ Associazione stessa e consistono in corsi di pittura in tecnica “affresco umido”, pittura delle icone, pittura su vetro.
Il primo corso ha avuto luogo nel 1993 ad Airola (BN) presso il convento dei frati minori di S. Pasquale; il secondo, nell’agosto 2006 a Matera presso la parrocchia Maria SS. dell'Annunciazione nel rione Picciarello; il terzo, solo teorico, nell’agosto 2007, presso la Sala Consiliare del Comune di Passignano sul Trasimeno. Nel dicembre 2006, presso il salone della Parrocchia Maria SS. Annunziata di Matera, la Scuola di affresco Nikopeia insieme alla parrocchia ed al vicariato ha organizzato una mostra di beneficenza intitolata Omaggio ai pittori anonimi delle Chiese rupestri di Matera, a cui hanno partecipato oltre al maestro Udroiu gli studenti più avanzati.
Dal 2010, la Scuola svolge i suoi corsi a Passo Corese, nei locali messi a disposizione dal Comune, Assessorato alla cultura. L’attività della Scuola Nikopeia prevede corsi gratuiti al termine dei quali, dopo un esame pratico, i corsisti ricevono da parte dell’Associazione Nikopeia un diploma annuale. I partecipanti sono obbligati a realizzare due pannelli nelle varie tecniche imparate durante i corsi: uno a soggetto libero, l’altro con soggetto stabilito dalla scuola.
Dal 2014, i corsi continuano grazie alla collaborazione di insegnanti che si sono formate sotto la guida di C. Udroiu.
OPERE NEI MUSEI
Romania:
Museo di Arte e Storia di Alba Iulia, Sighisoara, Turnu Severin, Braila, Sibiu; Museo della Chiesa Ortodossa Rumena; Museo di Storia della Patria, Bucarest; Museo della Letteratura, Bucarest; Pinacoteca della Chiesa di S.Nicola, Schei di Brasov; Pinacoteca della Società di Scienze Mediche, Sibiu; Pinacoteca della Metropolia Cristiana, Sibiu; Museo “Curtea domneasca”, Tîrgoviste; Museo Etnografico, Cluj-Napoca.
Italia:
Pinacoteca del Museo di Nuoro; Museo di Sassari; Museo di Benevento; Galleria Nazionale di Arte Moderna, L’Aquila.
Francia:
Museo Calvet, Avignon; Museo «D’Hospice», Villeneuve-lès-Avignon; Maison pour Tous, Cenon-Bordeaux.
Inoltre, le opere di C.Udroiu fanno parte di numerose collezioni pubbliche (Università di Amsterdam; Università di Avignon; Università di Bordeaux; Associazione Petrarca, Avignon; Associazione Franco-Rumena di Vaucluse; Centro Italo-romeno di Studi Storici, Milano; Università “1 dicembre 1918”, Alba Iulia) e private (Romania, Italia, Belgio, Germania, Francia, Polonia, Argentina, Perù, Stati Uniti, Zambia, Canada, Gran Bretagna, Svizzera, Austria, Olanda ) .
AFFRESCHI MONUMENTALI IN ITALIA
Accettura [prov. di Matera; affresco esterno di m2 18O, realizzato sulla facciata del Comune ], 1976-77; Tempio Pausania, 1971; S.Teodoro, 1973-77; Orani (Nuoro),1978; Bernalda, 1981; Satriano, 1983; Bernalda, 1985; Vitulano, 1987; Agnone, Vitulano [Basilica della SS. Annunziata] 1988; Benevento [ Nuovo Seminario ], Paganica [ Palazzo Ducale ], 1990; Matera [ Chiesa di S. Maria dei Greci ], Matera-Picciano [I cinque Misteri gaudiosi], Vitulano [Chiesa di S. Pietro], Faicchio [Chiesa di S.Salvatore] 1991, Airola [Convento S. Pasquale], 1992; Via Crucis, Faicchio, 1993; Paganica, 1993; Taurasi (Avellino), 1995.
HANNO SCRITTO DI LUI
G.Agostino, M. H. Allvoet, I. Andreita, M. Agostini,
N.Balotå, I.Barthouil, C. Bernardini, R.Biordi, T.Bonavita, M. Brigaglia, Ion Bulei,
F.Cacciatore, G.Cafarelli, N.Carandino, D. Carraz, C.Cassese, M. T. Centomani, G. Coanda, O. Coletta, F.Corrado, S. Cosmin
T.D’Antò, M.D’Antonio, U. De Paolis, T. De Rubeis, B. Di Masci, I. Dominici
A. Froncillo, G. P. I. Gheorghiu, E. Guidetti, G.Jacovelli, A. Jovannitti, Ion Itu,
F. La Civita, L.Lamarque, Jean Leclaire, E. Lombardi, A. Loreti
A.Moretti, D.Maffia, Fr. Malvasi, P.A. Manca, R.Mancini, N.Manolescu, A.Marino, A. Mascia, G. Massa, T.Meloni, M. Menicucci, E.Mercuri, G.Messina, G.Messinetti,
C.Nini, E. Napolitano, E. Nunziato, M. Orpallo
G.Pinnaparpaglia, N. Palazzo, P. Pallotta, G. Palmerini, B. Panella, M.Papahagi, R. Pezzano, A. Pomili
J.-P. Richard, W. Riccio, N.Rocco, M.Rotilli, R.Ruju,
V.Sabia, S. Sebaste, G.Selvaggi, S. Sprovieri, L.Stegagno Picchio,
D. E. Tirone,
L. Valmarin, M. Vasilescu, G. Vecchi, A.Viggiani.
Messaggero, Roma, Il Mattino, Messaggio d’oggi, La Nuova Sardegna, Sassari Sera, L’Avanti, L’Unità, Il Tempo, La Gazzetta ciociara, La Gazzetta di Sardegna, Paese sera, Il Mezzogiorno, La Gazzetta del Lunedì, Frontiera, La Sponda, Il Corriere del Giorno, Il Sannio, Corriere di Rieti, Corriere delle Alpi, Occhei, Lucania, L’Osservatore Romano, Hinterland, Mondo Sabino, La Gazzetta della Basilicata, Tiburno, L’Opinione irpina, La Realtà sannita, Gazzetta di Benevento
Contemporanul, Tribuna, România Literarå, Tribuna României, Dilema, Meridian, Dâmbovita, Bucarest matin, România Libera Hermannstædter Zeitung, Neuer Weg, Yoros Zaszlo, La region du Leman, La Suisse, Le Meridional, Le Provençal, Sud-Ouest.
MOSTRE PERSONALI
1950-71, Romania; 1971, Sassari, Castelsardo, Alghero, S.Teresa di Gallura, Nuoro, Benevento, Roma; 1972, Caserta, Isernia, Avellino, Campitello Matese, Amelia, Benevento, Frosinone; 1973, Bolsena,Orvieto, Viterbo, Roma, S.Teresa di Gallura, Nuoro, Amalfi, Terni; 1974, Livorno, Palermo, Sassari,S.Teresa di Gallura, Roma, Frosinone; 1975, Milano, Nuoro, Viterbo, Frosinone; 1976, Nuoro, Roma, Matera, Accettura, Montescaglioso, Frosinone; 1977, Ginevra, Lutry, Avignone, Nuoro, Olbia, Frosinone; 1978, Avignone, Accettura; 1979, Potenza, Amsterdam, Bordeaux, Massafra, Avignone, Accettura; 1980, Potenza, Carpentras, Matera, Viterbo; 1981, Crotone,Milano, Bernalda, Bolsena, Melfi, Avigliano, Tito; 1982, Crotone, Carpentras, Frosinone, Avignone, Bernalda, Accettura, Bolsena; 1983, Avignone, Potenza, Satriano, Metaponto, Melfi, Genzano di Lucania, Crotone; 1984, Accettura, Potenza, Acquavella, Vallo di Lucania, Agropoli, Parigi; 1985, Bernalda, Atene, L’Aquila; 1986, Sulmona, Parigi, Montalbano Ionico, S.Mauro Cilento, Vitulano, Avignone; 1987, Foglianise, Rieti, S.Mauro Cilento,Vitulano; 1988, Foglianise, Potenza, Agnone, Castelnuovo, Vitulano, Benevento; 1989, Pietrelcina, Avellino, Ferrandina, Casalvelino, Castelnuovo, L’Aquila; 1990, Capestrano, Paganica, Matera; 1991, Roma (Accademia di Romania), Vitulano di Benevento, Faicchio, Telese; 1992, Matera, Avignone, Benevento; 1993, Airola, Pietrelcina, Faicchio, Tîrgoviste (Romania); 1994, Matera, Pietrelcina; 1995, Monterotondo, Taurasi, Benevento; 1996, Melfi, Roma, Moricone, Matera; 1997, Montelibretti, Padova, Vitulano; 1998, Mentana, Longarone, Forno di Zoldo, S. Martino Valle Caudina, Fara Sabina-Passo Corese, Accademia di Romania in Roma; 1999, Arpaia, Vitulano, Melfi, Passo Corese, Fiano Romano; 2000, Monterotondo, Tivoli, Lisbona; 2001, L’Aquila, Passo Corese; 2002, S. Giorgio del Sannio, Melfi, Tollo, Amatrice: Passo Corese, Fonte Nuova; 2003, Grottaferrata; 2004, Poggio Mirteto, Repubblica di S. Marino, Melfi, S. Teresa Gallura; 2005, Mentana, Moricone; 2006, Passo Corese, Matera; 2007, Matera, Passignano sul Trasimeno, Accademia di Romania, Ambasciata di Romania; 2008, Matera; 2009, Villetta Barrea, S. Giorgio del Sannio; 2010, Accademia di Romania, Passo Corese; 2011, Poggio Mirteto; 2012, Passignano, Passo Corese; 2013, Passo Corese, Accademia di Romania; 2014, Perugia (Museo Capitolare); 2015, Cluj-Napoca (Museo Etnografico)
ELENCO MOSTRE DI ARTE SACRA
Dall’inizio della sua attività artistica, il Maestro Udroiu ha lavorato sulle due distinte tematiche del sacro e del profano, realizzando un curriculum di oltre200 mostre organizzate in Europa.
Le mostre di arte sacra cristiana e gli affreschi in chiese e conventi italiani realizzati ed organizzati con il patrocinio e la presenza di vescovi sono le seguenti:
1979 - Potenza con mons. Giuseppe Vario
1981-2 - Crotone, con mons. G. Agostino
1981-3 - Bernalda, con mons. Michele Giordano
1984 - Potenza, con mons. Giuseppe Vairo
1985 - Bernalda, con mons. M. Giordano
- L’Aquila (Museo d’Abruzzo) con mons. Virgilio Pastorelli
1988 - Vitulano, con mons. Minchiatti
1989 - Benevento, con mons. Minchiatti
- Avellino, con mons. Gerardo Pierro
- Ferrandina, con mons. Ennio Appignanesi
- Vallo di Lucania, con mons. Giuseppe Favale
- Paganica (Aq.), con mons. Virgilio Pastorelli
1990 - Benevento, Seminario Nuovo: benedizione degli affreschi da parte di Sua Santità Giovanni Paolo II
- Matera, con mons. Ennio Appignanesi
- Roma, Accademia di Romania, con il dott. A. Farina, presidente dell’Unicef italiana
1992 - Matera, con mons. Ennio Appignanesi e l’ambasciatore Gh. Gheorghiu
- Benevento, con l’arcivescovo Serafino Sprovieri e l’amb. Gh. Gheorghiu
1992-3 - Airola, Convento di S. Pasquale, con M.R.P. Ermenegildo Frascadore, ministro provinciale O.F.M. della provincia Sannito-Irpina
1993 - Airola, Convento di S. Pasquale, con mons. Mario Paciello, vescovo di Airola, l’amb. Gh. Gheorghiu e l’addetto culturale prof. Ion Bulei
- Faicchio, mostra e Via Crucis (15 edicole) dal convento di S. Pasquale a Faicchio fino a Faicchio antico, con mons. Mario Paciello
1994 - Matera, mostra di icone in onore di S. Eustachio, con mons. Antonio Ciliberti, arcivescovo di Matera-Irsina, e l’amb. Gh. Gheorghiu
1994-5 - Pietrelcina, mostra con l’amb. Gh. Gheorghiu e inaugurazione della Via Crucis nella chiesa SS. Annunziata
1995 - Benenvento, Museo del Sannio, con mons. Serafino Sprovieri, arcivescovo metropolita di Benevento; padre Domenico Eugenio Tirone, ministro provinciale O.F.M. della provincia Sannito-Irpina; ambasciatore di Romania presso lo Stato Italiano, C. Grigorie; ambasciatore di Romania presso la Santa Sede, Gh. Gheorghiu
1996 - Melfi , Basilica cattedrale (manifestazione sponsorizzata dalla Telecom) con mons. Vincenzo Cozzi, vescovo di Melfi, e S. Ecc. mons. Ercole Lupinacci, eparca di Lungro (Cs)
- Roma, Ambasciata di Romania presso la Santa Sede, mostra Luoghi di preghiera romeni, con il cardinale Achille Silvestri, segretario di Stato presso la Santa Sede, e mons. P. Carnaziu; ambasciatori presso la S. Sede di: Armenia, Austria, Belgio, Bulgaria, Rep. Ceca, Croazia, Francia, Germania, Iran, Irlanda, Israele, Italia, Libano, Lituania, Gran Bretagna, Polonia, Russia
- Matera, mostra Luoghi di preghiera romeni, con mons. Antonio Ciliberti, arciv. di Matera-Irsina e l’amb. Gh. Gheorgiu
1999 - Melfi, Sala Federico II con mons. Vincenzo Cozzi, vescovo di Melfi
- Passo Corese, Parrocchia S. Croce con S. Ecc. mons. Salvatore Boccaccio, vescovo della diocesi di Sabina – Poggio Mirteto
2001 - Passo Corese, Parrocchia S. Croce , con S. Ecc. mons. Lino Fumagalli, , vescovo della diocesi di Sabina – Poggio Mirteto
2002 - S. Giorgio del Sannio, Convento O.F.M. SS. Annunziata, con S. Ecc. mons. Serafino Sprovieri
- Melfi, Sala Federico II con mons. Vincenzo Cozzi, vescovo di Melfi
- Passo Corese, Parrocchia S. Croce , con S. Ecc. mons. Lino Fumagalli, , vescovo della diocesi di Sabina – Poggio Mirteto
2003 - Grottaferrata, Abbazia di S. Nilo, con l’archimandrita esarca dell’abbazia e l’acc. Prof. Razvan Theodorescu, ministro rumeno della Cultura e dei Culti
2005 - Poggio Mirteto, con S. Ecc. mons. Lino Fumagalli, vescovo della diocesi di Sabina – Poggio Mirteto
2006 - Passo Corese, Parrocchia S. Croce , con S. Ecc. mons. Lino Fumagalli, vescovo della diocesi di Sabina – Poggio Mirteto
- Matera, Mediateca provinciale con S. Ecc. mons. Salvatore Ligorio, arciv. di Matera-Irsina
2006-7 - Matera, con S. Ecc. mons. Salvatore Ligorio, arciv. di Matera-Irsina
2009 – Villetta Barrea (L’Aquila), con S. Ecc. Mons. Angelo Spina vescovo di Sulmona
- San Giorgio del Sannio (Benevento), con S. Ecc. Arcivescovo Metropolita, Mons. Serafino Sprovieri
2010-11 – Passo Corese, con S. Ecc. mons. Lino Fumagalli, vescovo della diocesi di Sabina – Poggio Mirteto
2012 – Passo Corese, con S. Ecc. mons. Ernesto Mandara, vescovo della diocesi di Sabina – Poggio Mirteto
2012-13 – Passignano sul Trasimeno, con S. Ecc. mons. Giuseppe Chiaretti, arcivescovo della diocesi di Perugia e Città della Pieve
2014 - Perugia, Museo Capitolare, con il cardinale G. Bassetti, arcivescovo della diocesi di Perugia e Città della Pieve.
SIGNIFICATO DELL’ICONA
Per parlare delle Icone bisogna innanzi tutto ricordare cosa è l'Icona e cercare di capire la sua importanza nella chiesa Cristiano-Ortodossa ed in generale presso i Cristiani di Oriente ed i cattolici di rito bizantino.
La parola "icona" deriva dal greco "eikôn" che significa "immagine", "ritratto". L'icona – definita poeticamente "una finestra aperta sul Cielo" oppure metaforicamente "un trattato di teologia a colori" - è nata con la Natività di Cristo: il Verbo si è fatto carne, l'Invisibile è reso visibile, Dio ha assunto un viso. L’icona viene definita anche “Bibbia in immagini” o “finestra aperta sul cielo” perché è il mezzo attraverso cui la Chiesa attesta visivamente la verità di fede rivelata. Con la Sua nascita, Dio si è fatto Uomo, cosicché è divenuta possibile la rappresentazione del Suo Volto.