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APPUNTI PER UNA BIOGRAFIA SPIRITUALE
di luigi Moretti

Qui di seguito pubblichiamo degli stralci da uno degli scritti inediti contenuti neil mondo magico di Luigi Ferdinando Moretti, Seconda edizione ampliata, Roma 31 ottobre 1998. Il testo è stato leggermente ritoccato nella punteggiatura e nell'uso dei connettivi; inoltre su di esso sono stati operati, segnalandoli di volta in volta, numerosi tagli, motivati da esigenze sia di brevità sia di opportunità. Va specificato che l'Autore -come ci è stato personalmente chiarito da altri - incorse anche in errori interpretativi circa l'ambiente in cui operò le esperienze qui narrate, il suo angolo di visuale essendo quello di un tassello di un mosaico, non del mosaico nella sua completezza. La lettura di questi Appunti - il titolo è nostro - può essere utilmente accompagnata da quella di un altro scritto di Luigi Moretti, La dinamica del respiro, da lui compreso ne Il mondo magico, ma già pubblicato su "Convivium", n° 14, luglio-settembre 1993, pp. 4-15

[a cura di S. C.].

***

Io sono nato trentatré anni fa (scritto nel 1984) a Tolfa, nel medio Lazio, e quindi sono di origini "etrusche" [...], ma vivo da sempre a Roma. Fino alla maggiore età sono stato un tipo normalissimo, occupandomi solo di elettronica e di fantascienza, in margine a studi tecnici; non ho mai avuto interessi né fenomeni "strani" di nessun genere.Venuto per caso a conoscenza di dottrine come spiritismo, occultismo, ermetismo, sempre per caso, un giorno - era l'Estate del '72 - mi trovai di fronte a un curioso libro: La tradizione ermetica di Julius Evo la [. ..], che determinò una svolta nella mia vita: grazie a questa opera e a agli studi del Gruppo di Ur (Introduzione alla Magia [...]), mi resi conto di quale fosse la mia vocazione, e cioè seguire la via iniziatica e magica.

Lessi parecchio; però allora, così come tanti, io pensavo di dover risolvere prima i miei problemi personali (bisogna essere perfetti in questo campo), e solo "dopo- avrei pensato al resto. A tale scopo praticai anche l'autoipnosi, ma senza alcun vero risultato.

Tra le mani mi capitò, un giorno, un curioso opuscolo giallo e amaranto dal titolo per me ancora più misterioso, Phersu, che lessi con avidità: era del

Gruppo dei Dioscuri. Dentro mi si diceva a chiare lettere che stavo perdendo tempo, dovevo agire subito, "ora", o non avrei fatto più in tempo: "É ora che una nuova chiamata viene fatta, e chi ne è in grado ha il dovere categorico e impersonale di attivarsi per far rinascere nel mondo il fuoco spirituale". Restai scioccato, ma non per molto. E mi misi subito in cerca di questo fantomatico gruppo: mi si disse che stava in un certo locale a Trastevere... E andai lì per varie sere, bussai, aspettai: invano. Ma ormai io ero lanciato: decisi di ripiegare su una cosa più semplice e vicina. Una nota rivista evoliana di Roma (Solstitium), di un bel colore giallo, mi attrasse e mi colpirono le parole di una pagina: "Qui da noi non si cercano cose strane, ma solo di essere perfetti interiormente, perciò solo dall'equilibrio dell'animo può nascere la realizzazione spirituale".

Capii che dovevo riprendere il lavoro interrotto prima, perfezionarmi, rendermi degno di essere un uomo della Tradizione. E cercai questo gruppo, incontrai "per caso" il suo direttore, S., lungo le scale di casa sua, e mi invitò poi anche il giovedì alle sue riunioni. [- -]

Intanto, da S., le riunioni continuavano regolarmente, e a casa dovevamo poi meditare ogni giorno i libri di Evola [...]: lo scopo del nostro riunirci là era di arrivare poi a qualcosa di "pratico", di realizzativo.

Cominciammo a fare dei minuti di "silenzio interiore", concentrandoci su un punto del pavimento, con l'odore dei profumi che crepitavano nel braciere. La storia, è ovvio, continuò, e presto si decise di trasferirci giù alla libreria, dove nel sottoscala e nottetempo, propizi buio e digiuno, cominciammo uno strano rituale: seduti su una sedia, con la schiena eretta e le braccia sulle ginocchia, dovevamo piegarci fin quasi a terra espirando (con la bocca) tutto il fiato che avevamo, e poi inspirare (col naso), e ritenere profondamente l'aria stando eretti: ricordo che la cosa mi sembrava così strana che mi veniva da ridere, e così anche agli altri [...].

Seduti in cerchio coi profumi che bruciavano, ci piegavamo tutti insieme a un segnale di Al, che fungeva da direttore; espiravamo tutto il fiato e poi inspiravamo tutti insieme, alzandoci e restando immobili; a un altro cenno espiravamo e così via, e questo per tre volte. Lo scopo era di calmare la mente per favorire la contemplazione; ovviamente questo era un lavoro di "catena", anche se io non ci facevo poi molto caso.

La cosa andò avanti ogni settimana per alcuni mesi e, all'inizio del '75, ci trasferimmo in un locale più adatto. [...] Lì riprendemmo, è ovvio, illavoro: lavatici le mani e il viso, accesi i profumi, sedevamo in circolo nella stanza verde a parlare, e poi spegnevamo la luce e cominciavamo il rito. Le tre respirazioni iniziali, poi la visualizzazione mentale di un punto di luce al centro del cerchio, e poi dei raggi luminosi che ci univano tutti al punto: questo all'inizio, e poi altre respirazioni e tornavamo a casa. [...]

In Primavera, cominciai a sentire i primi effetti del Rito. Uno strano formicolio alle membra, un'angoscia e un impulso irresistibile che mi costringeva a correre come un invasato per prati e boschi, a sentire il brivido misterioso che mi davano le piante e gli alberi.

Fu in quell'Estate che io conobbi per la prima volta il mio posto, Tolfa, dove gli amici del Gruppo mi avevano già condotto: camminate deliziose nei valloni e presso le sorgenti odorose di zolfo dove su in alto, sulle rocce, appariva la maschera del Guardiano della Valle. Strane cose che riscoprivo. E fu un bel giorno, su un pianoro, sotto il vento e il sole, che sentii per la prima volta la musica del flauto andino, che da allora diventò la mia musica vitale: la sentivo solo col corpo. E corsi e corsi ovunque sui prati: ero nato di nuovo, e come un nuovo Pan correvo sui sentieri del mio desiderio che animava erbe e alberi, prati e cieli, montagne e acque: desiderio di tutto perché io ero il tutto...

Al ritorno a Roma ero in uno stato ossessivo, da cui riuscii facilmente a uscire solo "portandomi in alto", al di sopra degli istinti: non so come, ma ci riuscii. Riuscii a controllare la forza evocata.

Questo era stato propiziato dal Rito che eseguivo a casa ogni sera: dopo le respirazioni e il punto centrale, e la ruota che questo con noi formava, facevamo girare la ruota ruotando il busto lentamente (e ampiamente) in senso orario, espirando-ispirando sempre più rapidamente (e restringendo sempre più il cerchio) fino a che, "a un segnale di Al, dovevamo fermarci, e allora seguiva una fase immobile, in cui dovevamo bloccare il turbinio psico-vitale che si destava: più avanti seppi che tale tecnica aveva lo scopo di ridestare la forza basale di Kundalini, ma allora non ne sapevo niente.

Riprendemmo dunque il Rito e il lavoro in comune: come già detto, dopo quella fase "menadica" e l'altra "di pietra", dovevamo accompagnare il girare della ruota di luce che poi si fermava, e allora respiravamo come all'inizio e così via: ormai era diventata per me come un'abitudine.

All'inizio del '76 mi accorsi di un nuovo stato d'animo: mi sembrava come se qualcosa dentro di me ingrandisse, come un punto di coscienza che dilatava e diventava grande come me, come se un altro essere mi nascesse dentro. Mi accorsi che ero diverso: da una parte ero un individuo normale, come sempre, ma dall'altra ero un'entità fredda e spietata, la cui volontà, che localizzavo al centro della fronte, non aveva nulla di umano, mi era estranea e mi faceva paura. Ma quando mi identificavo con Lui, mi sentivo al centro di tutto l'universo: era il mio vero io? Non lo sapevo.

Questo mi fece capire che io non ero quello che credevo: già da allora ebbi modo di conoscere, per esperienza, il mistero dei Dioscuri, i due che sono uno, la dualità di uomo e dio. Diventai un pensatore incredibile, tutto esisteva solo per farmi "capire" la realtà e presi, è ovvio, a osservare gli altri attorno a me: mi accorsi che non ero solo, e che c'erano degli altri intorno a me in cui riconoscevo il mio modo di essere, ché solo il simile conosce il simile.[...]

Alla fine del '78 riuscii anche a fare delle azioni estranormali sulla realtà, scoprii che avevo dei poteri occulti: proiettando lo stato di Amor, riuscii a calmare gli animali, con la Volontà potevo influire sugli eventi materiali, ma degli strani incidenti mi convinsero a smettere. Rinunciai così ai miei poteri e mi dedicai solo allo sviluppo spirituale e al pensiero: scoprii di essere in contatto occulto con la realtà, con gli enti dei popoli e delle città, dei monti e delle acque. Mi sentivo il centro occulto di tutto il mio mondo. E intanto a Roma il rito continuava, e dopo il fuoco al centro [in precedenza, in un passo da noi tagliato, relativo all'anno '77, l'Autore scriveva: "A Trastevere il Rito continuava: si immaginò che al centro del cerchio, invece di un punto di luce, ci fosse un 'fuoco' che ardeva e che ci univa tutti: mi accorsi di come il mio sviluppo seguisse 'tutte' le fasi del Rito" — ndc] fu aperta la porta della stanza rossa, e io vidi per la prima volta com'era. Con le scarpe bianche entrammo lì dentro: era una stanza piccola con un'aria strana e solenne. Era infatti un luogo consacrato dal "precedente" lavoro; e seduti lì al centro recitammo delle formule e poi accendemmo in un recipiente un fuoco vero con dell'alcool, e lì davanti ripetemmo il Rito.

Che però poi si interruppe. A1 disse che ormai si doveva passare a un "lavoro" vero [...], e cosi con adatte formule chiudemmo la sala, recuperammo l'energia spirituale e trasformammo tutto l'appartamento in un centro culturale, che di lì a poco avrebbe preso a funzionare.

Io però ero perplesso e non sapevo cosa fare. Quei giorni stetti male e al ritorno mi sentii lontano da loro. Come se quel qualcosa che ci univa si fosse interrotto: perché Qualcuno mi diceva che il mio posto non era più lì ma altrove?

Il Capodanno del '78 lo passai in Abruzzo, come al solito [cioè col Gruppo: in precedenza l'Autore rendeva noto che il Gruppo di appartenenza effettuava dei campeggi sulla Maiella — ndc], ma stavo meglio da solo e gli altri non li capivo più. L'inizio del '79 mi trovò indeciso: continuai ancora con fatica, cercai di andarmene da Roma, ma qualcosa me lo impedì e restai. E scoprii tante cose...[...]

                                                                                        Luigi Moretti

Rilievo funerario con scena di corse dei carri nel circo
Immagini: materiale d'archivio proprietà C. N. I.I.T.
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