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I TANTRA

Antropologia e Cosmologia (*)

di Pio Filippani Ronconi

 

Uno dei fenomeni più cospicui della cultura contemporanea dell'Occidente, almeno dalla prima guerra mondiale ad oggi, è costituito da uno straordinario e crescente interesse verso i motivi spirituali della civiltà indiana, non tanto secondo le loro funzioni formalmente letterarie, estetiche e religioso-filosofiche, che pur tanta importanza avevano rivestito per l'intellettualità europea della fine dell'Ottocento, quanto per la pregnanza realizzativa e liberatrice propria ad alcune discipline caratterizzanti detta civiltà, come lo Yoga. In altri termini, l'interesse per le forme della civiltà indiana ed orientale in genere, già esclusivo di un’ élite di studiosi colti quanto astratti è ormai ecceduto, specialmente fuori d'Italia, dall'assunzione, generalmente a-sistematica, purtroppo velleitaria e talvolta fanatica, da parte di gruppi sempre più vasti, di alcuni atteggiamenti o discipline tradizionali dell'India con la presunzione, più che mera speranza, che queste offrano a tutti la possibilità di risolvere "hinc et nunc" i problemi posti da un'esistenza, contingente sempre più insoddisfacente ed alienante, non solo, ma restituiscano all'uomo -attraverso una esperienza diretta ed ineffabile- il senso cosmico e trascendente della sua presenza sulla Terra. Facendo la tara dell'ingenuo realismo, del rozzo schematismo e della mentalizzazione, che inficiano il senso e annullano i risultati di dette discipline, dobbiamo riconoscere in questo atteggiamento un elemento diagnostico che caratterizza la nostra epoca. Questo è costituito dalla esigenza che potremmo definire "magica", perché presume di trasformare il mondo e il soggetto che se lo pone, facendo appello alle forze più profonde della sua coscienza, quelle che si attuano immediata-mente come "volontà di essere" prima ancora che come "volontà di vivere", saltando a piè pari la mediazione psicologica e fisico-sensibile, che caratterizza il normale rapporto dell'uomo con il suo ambiente. Questo atteggiamento, che può essere dettato da esigenze di sublimazione interiore, di evasione dal mondo o, al contrario, di maggiore presa su di esso, riveste importanza secondaria rispetto all'attitudine noetica che lo condiziona. Questa si esprime secondo la presunzione che la relazione fra "io" e "mondo", fondata sulla "rappresentazione" di questo, possa individualmente venir trascesa da una conoscenza per "identificazione", ritrovando in se stesso il significato del mondo, di là dallo schermo del pensare logico-razionale, per non dire mentale che abitualmente se lo pone davanti come oggetto. Effettivamente questo atteggiamento corrisponde, almeno come pretesa, a quello che i pensatori indiani denotano come anubhava, cioè "esperienza diretta" di ordine noetico, a cui si accede, generalmente, mediante la disciplina meditativa della bhâvanâ, (1) "realizzazione", o "identificazione". Purtroppo questa attitudine -osserviamo di sfuggita- quando non conduce ad uno scomposto vitalismo esistenziale, ad una emotività che si presume libera e, in fondo, ad una gratificazione della mediazione fisica che si pretendeva magicamente di superare, porta -e ciò che è peggio- alla codificazione della Via spirituale in una dottrina, quindi all'adesione metodologica ad un intellettualismo che si presumeva di distruggere. Rappresentarsi Yoga, Tantra, Zen, e Taoismo con la medesima modalità strumentale - il pensiero mentalizzato - con cui si conosce politica, sociologia, analisi di mercato o tecnologia, costituisce un'ingenuità senza pari, dato che essa soggiace alla riflessità mentale, un limite invalicabile, analogo a quello della barriera metabolica che impedisce di assimilare i principi curativi di un medicinale ingerito per bocca. Pertanto, l'accostarsi seriamente allo studio di una particolare disciplina orientale presuppone almeno un iniziale superamento consapevole di tale limite, sì che la dottrina oggetto d'indagine appaia, sempre di più, mero simbolo del contenuto che si tenta di realizzare, non già un dogma. Di là da questo limite astratto ed intellettualistico, vi è un altro elemento deformante che altera lo studio corretto di tali discipline, che è dato dall'assumerle in funzione puramente psicologica, per non dire psichica, cioè in base al risuonare dei loro effetti nell'anima di chi li sperimenta, e non già in funzione del loro fine che è puramente noético, cioè spirituale. L'assimilazione dello Yoga, ad esempio, alla Psicoanalisi, la sua deformazione nelle varie specie di "training", il cui contenuto oggettivo è giustificato esclusivamente da una serie di risultati di genere esistenziale, che tali sono in rapporto alla coscienza dell'individuo non "trained" e non già dell'Individuo Assoluto, sono altrettanti esempi del vicolo chiuso a cui conduce l'assunzione "fattuale", in fondo logico-affettiva, di Tantra, Yoga, Zen, eccetera. E’ l'errore dei "patiti dell'Oriente", non degli "amanti dell'Oriente" che traducono la propria vocazione o, se si vuole, il proprio "sogno" nel calore di una coerente ricerca. Un terzo limite è quello di presumere che un Occidentale abbia le medesime capacità -non si dice se più grandi o più piccole-  realizzative riguardo alle discipline tantriche, che un Orientale, in particolare un Indiano "classico". Si tratta di due tipi umani totalmente differenti, come lo dimostra il diverso rapporto conoscitivo con il mondo che ognuno di loro ha, rispetto all'altro. Per l'Occidentale il mondo è reale soprattutto nella modalità fisico-sensibile, in cui se lo rappresenta, secondo il pensare astratto, con cui ne analizza la parvenza materiale. Per l'Orientale, dico l'Indiano classico, il mondo appare prima facie come una realtà di ordine eminentemente psichico, il cui significato è dato, non tanto dalla parvenza "sostanziale" (giammai "materiale") con cui se lo rappresenta, quanto dalla dimensione dinamica- energetica, che in esso più o meno oscuramente percepisce o, meglio detto, più o meno chiaramente intuisce fino al limite dell'auto-riconoscersi in esso. Ciò spiega, ad un livello addirittura vitale, come determinate discipline dello Yoga, come il controllo del respiro, prânâyama, conducano presso l'Indiano alla percezione di una dimensione cosmica di tale operazione che, presso un Occidentale, partente da una percezione puramente fisica del processo, non dà altro risultato che un benessere di genere ginnastico, salvo casi, ad esempio, di iper o ipo-ossigenazione, conducenti ad un'alterazione della comune funzione delle facoltà, fondamentalmente sempre di ordine fisico. Fatte queste premesse, volgiamo la nostra attenzione ai Tantra e ad alcuni aspetti del Tantrismo. Noi possiamo considerare i Tantra secondo due aspetti: o secondo la loro realtà fenomenologica, storicamente, filosoficamente, come manifestazione religiosa, magica, settaria, eccetera, oppure se presumiamo di collocarci nella posizione di un loro adepto, contemplarli quale substrato al proprio dispiegamento, cioè a dire, considerarli quale forma assunta dal Verbo per manifestare la propria essenza, relativamente ad un livello particolare di coscienza e farla sperimentare secondo una determinata successione di suoni audibili e, nel contesto, intellegibili -ciò che ne costituisce il contenuto sostanziale-.  Né quest'ultima è un'affermazione stravagante o peregrina, dato che l'autorità massima in fatto di Tantra shivaiti, Abhina-vagupta, afferma nell’ Isvara-pratyabhijna (II, 80, 1-3) essere l'âgama, cioè la rivelazione di ordine tantrico, "atto interiore (antarânga) di Siva medesimo". Poiché la conoscenza scientifica propria al mondo occidentale ci impone una esposizione obiettiva del contenuto che sia chiara e distinta, consideriamo, per cominciare, i Tantra secondo la propria realtà fenomenologica. I Tantra, etimologicamente "trama" o "rituale", sono testi esoterici hindù o buddhisti, consistenti in un insieme di liturgie, prescrizioni di ordine yoghico, o sintetiche esposizioni filosofiche, aventi lo scopo di procacciare all'adepto (sâdhaka) particolari poteri miracolosi (siddhi, jddhi) o addirittura di trasporne la personalità empirica in quella Assoluta Realtà, simboleggiata dall'Ente divino (Siva, Visnu, la Sakti o il Tathâgata Buddha) che ispira il particolare ciclo religioso al quale essi si riferiscono. Sono fondamentalmente degli insegnamenti arcani, che in un certo modo continuano l'orientamento occulto, individuale ed interiorizzante, già iniziato dalle Upanisad "medie" (Mândukya, Kena, Prasna, Maitry, Aita-reya-up., etc.): i Tantra non buddhisti si presentano come nuove forme di rivelazione salvatrice, adatte per i tempi, in cui l'umanità è talmente degenerata, da non poter più accedere alle lunghe ascesi proprie all'età dei Veda, bensì sublimare i dinamismi inerenti al medesimo movimento della propria caduta. I Tantra buddisti, specialmente quelli delle classi più elevate yoga, mahâ-yoga, anuttara, advaya, si presentano come veri e propri rituali di auto-realizzazione che sarebbero stati rivelati dal Buddha del presente o di passati cicli in un “luogo centrale" (Sambhala, ecc.) che si identifica, sia con l'Axis Mundi (Su-meru) che con il centro più intimo dell'essere umano (spina dorsale e cuore). Questi testi, che probabilmente hanno un'origine remotissima, come i gter-ma tibetani, pur affermandosi storicamente a partire dai primi secoli dell'Era volgare, sono tipologicamente il prodotto estremo di varie sintesi gnòstico-religiose, con abbondanti elementi (nel caso dei Tantra buddhisti) di origine iranica -come le figure del Buddha della Luce Infinita, Amitâbha, o quello della Vita Infinita (Amitâyus), di Maitreya, replica indiana del Salvatore irànico, Mithra Saosyant- oppure di origine pre-ârya, dravida o himâlayana- come le varie figure femminili, le Târâ buddhiste, le Dâkinî, le sakti in generale, eccetera. In ambiente hindù i Tantra appaiono come la reazione al ritualismo brahmanico, come ritorno al culto interiore fondato sulla meditazione (dhyâna) o sulle pratiche estatiche dello Yoga, e quale affermazione di un rapporto di personale fedeltà, prima, indi di appassionato amore (bhakti) verso la Divinità, guida interiore dell'asceta e, in definitiva, rivelantesi come il suo vero ed autentico Sé pre-esistenziale. I Tantra hindù, dei quali ci occupiamo subito, sono ripartiti in âgama, "tradizioni", proprî alle scuole sivaite, specialmente meridionali, e samhîta, "raccolte", proprie a quelle visnuite, in particolare alla setta Pâncarâtra. Vi sono, poi, Tantra appartenenti a sétte puramente sâkta, cioè quelle che riconoscono la prevalenza dell'elemento femminino, dinamico, la sakti  -"sposa", "potenza"- su quello essenziale, mascolino, ed a tale concezione adeguano le loro occulte discipline, dette "della mano sinistra" (vamâ-cârin): in questi ultimi Tantra si afferma, più che negli altri, il principio originale secondo il quale è possibile trascendere la comune condizione umana, trasformando in pure energie e percependole come tali, quelle stesse forze che conducono l'uomo ordinario al peccato ed alla perdizione. I caratteri che contrassegnano la letteratura e la pratica dei Tantra sono essenzialmente quattro: 1) l'aspetto sâkta suaccennato, per cui gli infiniti mondi, il loro divenire e le condizioni di coscienza, che riflettono il rapporto dell'uomo con essi, sono espressione dell'energia dinamica, la femminile paredra dell'immobile divinità maschile; 2) il rapporto micro-macrocosmico fra uomo e universo, per cui tutto il cosmo si riflette nella, costituzione dell'uomo, sia nella parte più sottilmente animica che in quella concretamente corporea; 3) l'aspetto fonemàtico della Divinità e di tutte le deità da questa emanate, per cui il Pléroma divino e i diversi gradi della creazione sono concepiti come manifestazioni immediate del Verbo (sabda, vâk) risonante nell'étere (âkâsa, vyoman, kha) che ne costituisce la "dimensione-luce" intelleggibile; 4) le pratiche yoga, sia quelle puramente meditative del Râja, -che quelle immediatamente realizzative del Laya- e Hatha-yoga, dato che è mediante lo Yoga che si realizza lo scopo fondamentale di tutti i Tantra, cioè la trasposizione dell'empirica e contingente personalità umana in un'entità divina: questa è la "liberazione", mukti o moksa, dal ciclo delle nascite e delle morti (samsâra), che viene attuata secondo la disciplina della particolare sétta, sâdhanâ, adeguata dal maestro, guru o acarya, alla particolare costituzione psico-fisica ed al carico karmico del discepolo. Come già accennato, l'elemento repressivo proprio a tutte le ascesi, una volta passata la fase propedeutica, che però può anche durare tutta la vita, viene rovesciato: l'adepto deve fondamentalmente sperimentare in modo obiettivo, quella potenza di illusione cosmica (mâyâ-sakti) che è lo stesso strumento per la creazione dei mondi, la quale però si degrada nell'uomo, allorché egli la sperimenta soggettivamente attraverso le passioni: brama, ira, terrore, ottundimento. Si tratta ora per lui di rettificare il rapporto di conoscenza, per cui ordinariamente soggiace loro, identificandosi ad esse. Su questo principio sublimante sono fondate anche le tecniche segrete dette delle "cinque M" (panca-Makâra), dal nome sanscrito di cinque forme di fruimento, relative al mangiare carne (mâmsa), pesce (matsya), cereali (mudrâ), bere vino (madya) ed aver relazione con l'altro sesso (maithuniâ), che corrispondono ai cinque elementi classici: fuoco, acqua, terra, aria, etere. La realizzazione di un simile rovesciamento, insegna il Mahâ-bhairava-Tantra, avviene mediante qualcuna delle 112 "vie del ritorno'', tante sono ricordate essere quelle che riconducono l'individuo empirico a sperimentare il vero Sé sottogiacente ad ogni atto di conoscenza. Essenzialmente gli indirizzi sono due: il primo consiste nell'esaurimento delle forze psichiche che alimentano la rete del pensiero associativo, logico-razionale e dualizzante (vikalpa) di soggetto ed oggetto; il secondo consiste nell'educarsi a concentrarsi istantaneamente sugli intervalli fra percezione e percezione, sugli impercettibili interstizi fra pensiero e pensiero, sì da cogliere a-concettualmente il tessuto cosciente, sostanziato di vibrante energia (spanda), che è pura consapevolezza (samvid, âmarsa) autoluminosa (pra-kâsa) non implicata in alcun oggetto o tomos, ché, anzi, lo spazio puro nasce come interiore dimensione della sua luce nel moto a-temporale, a-spaziale.

L'irruzione in questa pura coscienzialità, conseguente alla sparizione dell'appoggio del mentale, conduce a realizzare la prima identità fra Io e mondo (pûrnâhantâ) simboleggiata con la figura di Bhairava, ipostasi di Siva, che rappresenta l'indifferenziazione primordiale fra l'Io assoluto e la Sua potenza di manifestazione, la quintuplice sakti (cid-, ânanda-, icchâ-, jnâ-, kriyâ-sakti), operante a questo livello come sua prima presa di coscienza di se stesso e che si manifesta secondo la serie dei fonemi da A a HA, cioè tutto l'alfabeto sanscrito, pur restando intatta e completa in ognuno di essi (kalâ). Altri livelli metafisici proprî a questo ordine di realtà sono quelli simboleggiati rispettivamente dalle figure di Rudra, con cui si accenna ad una differenziazione iniziale fra sakti e siva, una "disfase" per cui l'Universo intero è mantenuto nell'equilibrio fra sei modalità essenziali (varna-kalâ/mantra-tattva/pada-bhuvana), indi Siva, o di nuovo Bhairava, o Sambhava, che esprime la condizione di riassorbimento del mondo entro la Ipseità divina, attraverso la fiamma della conoscenza totale, mahâ-bodha, che lo incenerisce. Beninteso, questa visione mitica e cosmologica dei processi di creazione, mantenimento e riassorbimento del Tutto entro l'Io divino, tramite la sua Sposa-potenza, costituisce un simbolo concreto ed immediato appoggio meditativo e, direi pure tecnico, per un processo soteriologico che viene attuato dallo yogin con la stessa esattezza di una scienza matematica. Fino a qui abbiamo fatto accenno ad una cosmologia per così dire, atemporale, caratteristica dei sistemi saiva. Nelle Samhitâ e nei Purana visnuiti, come del resto anche nel tipologicanente lontanissimo Kâlacakra buddhista, l'elemento tempo-spazio acquista anch'esso un valore simbolico per la palingenesi umana. Si tratta di un tempo, non di ordine lineare indefinito nel suo procedere dal passato verso un futuro che mai s'invera, bensì di carattere ciclico, che si scandisce nei grandi eoni (kalpa) suddivisi alla loro volta in tanti minori cicli (yuga). Allo stesso modo in cui Io spazio (âkâsâ) costituisce la dimensione intellegibile della Luce, così il tempo simboleggiato dalle varie figure delle ipostasi (avatâra) della Divinità, rappresenta lo strumento concreto di Liberazione, poiché ad ogni ciclo, mutandosi la disposizione interiore dell’uomo verso la propria Liberazione, si ha una diversa manifestazione divina, che ne esprime l’intimo senso (artha) e reca agli uomini un nuovo messaggio adatto alla loro nuova costituzione. Perpendicolare a questa visione ciclica propria soprattutto ai Purâna, si ha nelle Samhitâ visnuite le manifestazioni dei vyûha, enti divini emanati da Visnu impersonanti contemporaneamente i diversi principi spirituali, psichici e fisici dell'uomo nonché gli elementi della Natura (come le 4 ipostasi Krsna-Vâsudeva, Samkarsana, Pradyumna, Aniruddha e Brahmâd, simboleggianti rispettivamente la Natura naturante (prâkrti), la mente (manas), il principio dell'individuazione egoica (ahamkâra) e tutto il creato. La cosmicizzazione meditativa di questi elementi, reintegrati ai loro principi metafisici, che sono simboleggiati dalle divinità suaccennate, strappa l'uomo dai lacci della Mâyâ, cioè, dell'illusione esistenziale, e lo riconverte al proprio fondamento divino. Negli âgama sivaiti e, più ancora nei Tantra sâkta, l'evoluzione cosmica è considerata sotto l'aspetto fonematico: la Parola (sabda-brahman), si raddensa nella creazione del mondo, rapprendendosi nelle singole cose, il significato delle quali coincide con il suono che loro immane. L'uomo è la sintesi del Verbo nei due movimenti: di discesa entro il mondo delle forme, e di risalita, attraverso il pensiero-linguaggio (cioè quello che nella nostra Grecia ancora si chiamava lògos) verso l'ineffabile indifferenziato. L'uomo è essenzialmente Linguaggio, Verbo, e come tale è il compendio attuale e formale di tutto l'Universo. Il fatto che l'uomo esiste contemporaneamente secondo quattro dimensioni di coscienza, veglia, sogno, sonno e catalessi, precisa questa concezione centrale dei Tantra, nel senso che coincidendo ognuna di queste condizioni con una fase della creazione-mantenimento-riassorbimento del mondo, l'uomo stesso ne costituisce il significato che si manifesta come pensiero e parola.

(continua)

Pio Filippani Ronconi

 

(1) Etim “fai essere” da bhu, “fieri”.

(*)Argomento di una conversazione tenuta dall’Autore presso il Centro Studi Evoliani, nell’inverno ’76–’77; trattato successivamente in Vak la Parola Primordiale, quattro saggi sui Tantra, Edizioni “Il Pungitopo”, Marina di Patti (Messina), 1987.

Pio Filippani-Ronconi 

Pio Filippani-Ronconi (Madrid 1920 – Roma 2010) nasce da antica famiglia romana. Iniziato lo studio delle lingue estremo-orientali sin dall'infanzia (sanscrito, turco, persiano, tibetano, nonché arabo e moltissime altre) ne è stato considerato uno dei principali conoscitori. Ha insegnato Storia del Pensiero Cinese come incaricato per undici anni presso l'Istituto Universitario Orientale di Napoli, dove è stato anche titolare della cattedra di Religioni e Filosofie dell'India. Si è occupato principalmente delle diverse forme assunte dalle concezioni gnostiche e magiche in varie aree culturali e dei sistemi speculativi da queste derivati. Ha pubblicato innumerevoli traduzioni e interpretazioni di opere estremo-orientali, come La Madre del Libro, scritto iniziatico dell'Asia Centrale, e Il Libro dello Scioglimento e della Liberazione di Nasir-i Khosrou, poeta persiano dell'XI secolo (presso l'Istituto Orientale); tre volumi delle indiane Upanishad (Boringhieri); i Discorsi brevi del Canone Buddhista (UTET). Oltre ad aver scritto numerose opere di divulgazione relative alla cultura indiana, persiana, islamica, alla fenomenologia magico-religiosa in senso lato, ai Tantra, eccetera, ha pubblicato anche una Storia del pensiero cinese (Boringhieri), Il buddhismo e La speculazione indiana prebuddhista (ambedue presso l'Istituto Orientale), Ismailiti e Assassini (Arché) e Magia, religioni e miti dell'India (Newton Compton).

In ricordo di Pio Filippani Ronconi

Madrid 10.3.1920 - Roma 11.2.2010

"Valoroso, il pino dritto

che rimane verde sotto il peso della neve”

(Tanka imperiale scritto dal Tennô Hirohito nel 1945, in occasione della festa della fioritura dei ciliegi).

29 Novembre 1994, Sala Convegni Facoltà di Sociologia Università La Sapienza -  Roma

La posizione assunta (Pio Filippani Ronconi era anche un maestro di arti marziali) è la chudan no kamae (guardia “media” tipica del kendo). In tale figura il piede destro è avanzato rispetto al sinistro, la spada (nella circostanza si tratta di un’arma cerimoniale) è impugnata all’estremità inferiore con la mano sinistra, il mignolo, l’anulare ed il medio tengono forte la spada mentre il pollice e l’indice chiudono senza fare forza. La mano destra dà la direzione alla spada e impugna la parte più vicina all’elsa (tsuba nel kendo).

Nello yoga non duale del Kāśmīr il vissuto sensoriale ed emotivo diviene il veicolo privilegiato verso la quiete mentale. Le emozioni, esplorate dai maestri kaśmiri proprio nei testi di estetica, anziché pericolose o fuorvianti rispetto alla via interiore, mettono le ali alla mente intuitiva dello yogin. Questa, inondata dall'intensità tumultuosa delle emozioni approda, inaspettatamente rispetto allo yoga classico, a samatā, centratezza equanime e non distratta. Sentire ed emozionarsi riportano l'essere alla sua originaria natura di vitalità cosciente. La qualità affettiva della mente yogica non ha niente di psicologico o appropriativo, ma si configura come un 'desiderio senza oggetto', un'apertura calda e intelligente a tutto ciò che siamo, a tutto ciò che c'è. Come l’artista o il santo lo yogin aperto al sentire, gustando l’āsana, diviene sahṛdaya, sensibile alla Bellezza, tutt’uno con il desiderio del Bene. Lo yoga diviene l’arte per eccellenza e la fruizione del bello attraverso le diverse forme dell’arte e del rito la sua condizione portante.

Tratto da Gioia Lussana

Lo yoga della bellezza:

l’esperienza estetica come laboratorio dell’esperienza yogica.

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